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      I momenti che il vile usa a fuggire, il prode gli adopra al vincere. Si tolga dunque ogni indugio al fatto, usando quell'audacia che padroneggia gli eventi.
      Neppur tanto bisognava perché anche l'altro scendesse nel loro parere: onde navigando perduti, vinse il partito di dar corpo al feroce disegno, se ne andasse quel che volesse. Le terre superiori non erano da verun accattolico abitate, né i Bormiesi avevano di che lagnarsi dei Grigioni(68). Doveva dunque la strage cominciarsi a Tirano, ove aggregati i manigoldi in casa del Venosta, coll'avidità del fanatismo già pareva loro mill'anni d'essere al sangue. Appena si oscurò quella notte, trista per cielo perverso, più trista per i disegni che vi dovevano maturare, sono fuori, altri a guardare le vie perché non esca fama del fatto, altri a serragliare la strada di Poschiavo, altri a collocarsi opportuni. Poi in un sogno pieno di fantasmi e di paure, quale scorre fra il concepire d'una terribile impresa ed il compirlo, stettero aspettando l'ora pregna di tanto dubbio avvenire, con quel gelo di cuore, con quell'indicibile sospensione d'animo, che non conosce se non chi la provò. Là sul biancheggiare dell'alba quattro archibugiate danno il segno convenuto, le campane suonano a popolo, compunti il cuore di paura, balzano dal sonno i quieti abitanti, ma come all'uscire ascoltano gridare 'ammazza ammazza', e vedono darsi addosso ai Riformati, tutti sentono il perché di quell'accorruomo. Ogni cosa è un gridare, un fuggire, un dar di piglio all'armi, chi per difesa, chi per offesa, e piombare sovra i nemici, e difendentisi invano, gridanti a Dio mercé della vita e dell'anima, tra le braccia delle care donne che ponevano i bambini a pié dei sicarj per ammansarli, e tra i singulti degli innocenti figliuoli, nelle case, per le strade, sui tetti, trucidarli.


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Il Sacro Macello di Valtellina
di Cesare Cantù
Sonzogno
1885 pagine 160

   





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