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      Non bastavano i cimiteri a ricevere le salme dei tanti, gettati là senza onore d'esequie, senza funebri deprecazioni. Interi paesi furono spopolati, né si riebbero più. Como perdette 10.000 persone, la Valtellina che, secondo la relazione di monsignore Scotti, comprendeva ben 150.000 abitanti, fu ridotta a non più che 40.000.
      Da una parte crescevano i pii legati ed i voti; dall'altra, riflettono i contemporanei, non che farsi migliori alla terribile voce del castigo divino, vie peggio si pervertivano i costumi degli uomini, insultando al Dio che flagellava, godendo della vita che fuggiva, del disordine che regnava, degli averi che nei superstiti si accumulavano. Noi vorremmo raccomandare ai gran savii del nostro secolo di non permettere mai queste grandi sciagure naturali. In primo luogo, essi vantano l'onnipotenza dell'uomo, il poter suo nel domar la natura, un avvenire di godimenti quando esso avrà tolte le cause di distruzione, incatenati gli elementi. Ed ecco un torrente, una scossa di terra, un morbo che s'attacca all'uomo o alle patate, un'avversità di stagione, perde le gioconde previsioni, e attesta il predominio di una mano poderosa, e come precario sia il possesso dell'uomo su questa crosta che copre un incendio.
      Secondariamente le gravi sventure sono il giorno del prete, del frate, della carità. Cose tutte che i gran savii del nostro secolo devono ingegnarsi di screditare e d'impedirne quell'influenza che divien tanto efficace quanto benedetta in simili casi.
      E anche allora se al male v'aveva qualche rimedio, lo porgeva la carità cristiana.


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Il Sacro Macello di Valtellina
di Cesare Cantù
Sonzogno
1885 pagine 160

   





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