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      Entrante il V° secolo, Roma gloriavasi di possedere ventiquattro chiese e settantadue sacerdoti. Lo sconcio di mandare attorno le sacre specie indusse poi a permettere anche ai plebani di consacrare, e poi di amministrare pure gli altri sacramenti, eccetto l'ordine e la cresima, riservati ai vescovi, come l'assoluzione d'alcuni peccati.
      I vescovi, depositarj dell'autorità, non doveano stare assenti più di tre settimane dalla loro diocesi; e applicandovi le norme del matrimonio, si proibì il divorzio, cioè d'abbandonar una chiesa per un'altra, se non l'esigesse il bene universale. Abitualmente il vescovo veniva scelto nella diocesi stessa, laico o sacerdote: ma poteva anche essere uno straniero, come tanti dei primi papi; come i Milanesi vollero vescovo il loro governatore Ambrogio da Treveri.
      I vescovi sin dapprincipio furono subordinati al papa; ma alcuni si sottoponeano anche a quello della città più illustre, o la cui sede fosse fondata da qualche apostolo, formando così provincie, il capo delle quali intitolavasi metropolita, arcivescovo, patriarca: non aveva superiorità spirituale, ma convocava a concilio i vescovi della provincia, perciò chiamati suffraganei: li consacrava prima che entrassero in funzione; rivedeva le loro decisioni: vigilava sulla fede e la disciplina di tutta la provincia.
      Quando morisse un vescovo, il metropolita destinava un sacerdote che, sede vacante, amministrasse la diocesi; e in presenza di questo, il clero proponeva, e l'assemblea del popolo eleggeva il successore; ma la nomina doveva essere approvata dagli altri suffraganei, e confermata dal metropolita.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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