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      Questa era sottoposta al giudizio di un arbitro supremo; quand'egli proferisse ch'era violata, i popoli cessavano dall'obbedire, e il re indegno era colpito da una pena tutta morale, la scomunica, che mettea fuor delle comuni orazioni lui e le persone o le provincie che gli continuassero la devozione. Nel paese scomunicato cessavano quelle cerimonie religiose che consacrano tutti gli atti solenni della vita, e consolano e rinfrancano l'anima nelle battaglie della vita. Chiuso il tempio, immagine della città di Dio; non letizia d'organi, non richiamo di campane; non più l'assoluzione per tranquillar le coscienze; non la santa cena per refiziare lo spirito; non quelle feste ove il barone e il villano trovavansi uniti e pari nella medesima preghiera: spente le lampade, velati i crocifissi e le immagini edificanti; veruna solennità accompagnava l'entrare e l'uscir dalla vita: insomma pareva non esistesse più mediatore fra il peccatore e Dio. In secoli credenti questa pena era spaventosa, come sarebbe ai nostri gaudenti il chiuder i teatri od i caffè; e il re colpito, abbandonato da tutti, era costretto a sottomettersi.
      Non è raro che la città di Roma imprechi a' suoi pontefici per favorire altri re. Anche allora Cencio, prefetto della città, in nome di Enrico IV contrariò Gregorio, lo aggredì tra le affettuose cerimonie della notte di Natale, e afferratolo pei capelli, lo trasse al proprio palazzo. Il popolo, levatosi a rumore, lo liberò, e a fatica il perdono di Gregorio salvò l'offensore.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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