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      Questi aveano per centro Tolosa; e già potemmo vedere come impugnassero la giustizia, la proprietà, la famiglia, la facoltà di punire, insomma i fondamenti della società. Come nemici della società consideravansi dunque, e Federico II, nella succennata costituzione, che passò nel diritto comune per quasi tutta Italia, ordina a' suoi uffiziali d'investigare contro gli eretici, anche senza denunzia e sopra sospetti per quanto leggieri, ponendo l'eresia fra i delitti pubblici (inter cætera publica crimina); anzi lo giudica più orribile che la lesa maestà: e fin agli ecclesiastici comanda di esaminare se vi avesse offesa anche contro un solo articolo di fede: a viris ecclesiasticis et prælatis examinari jubemus.
      Eresia era titolo che applicavasi a qualunque errore. Si sa che, nella dieta di Roncaglia, Martin Gosia definì che l'imperatore è non solo signore di tutto il mondo, ma anche di tutte le cose de' particolari. Or bene, il famoso Bartolo non solo adottò quella sentenza, ma dichiarò eretico chi credesse altrimenti.
      L'eresia era dunque civilmente delitto: e Luca di Penna, per dirne uno dei cento, dichiara «il misfatto d'eresia esser massimo e pubblico, per offendere la maestà divina, e conturbare l'unità della Chiesa: aversi in esso a procedere per inquisizione, e quelli che da' giudici ecclesiastici son dichiarati rei, se non s'accusano e ritornano in seno della Chiesa, siano dichiarati eretici, e consegnati al giudice secolare, che deve bruciarli e incamerarne i beni, come nel misfatto di maestà».


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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