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      Sotto i papi succeduti, la guerra fu proseguita colla ferocia delle nazionali, finchè la Provenza restò sottoposta affatto al re di Francia. Questo re era san Luigi, e al nuovo acquisto volle accomunare i provedimenti che vegliavano in Francia, dove l'eresia, secondo il diritto comune, era considerata delitto contro lo Stato, e punita del fuoco. Romano, cardinale di Sant'Angelo, raccolse un concilio, dove si stabilì che i vescovi nominerebbero in ciascuna parrocchia un sacerdote con due o tre laici, per inquisire gli eretici, e farli noti ai magistrati; punito chi ne celasse alcuno; distrutta la casa dove uno fosse côlto.
      Sono i fieri ordinamenti coi quali si svelle la ribellione, e pur troppo li vediamo e li deploriamo oggi stesso minacciati e applicati, nel meriggio dell'ostentata civiltà, e per cause assai meno certe, in questa povera Italia.
      Il tribunale dell'inquisizione fu dunque una corte speciale in paese sovvertito da lunga guerra e da rinascenti sollevazioni. Invece delle precedenti stragi armata mano, e dei consigli di guerra senza diritto di grazia, l'Inquisizione era esercitata da ecclesiastici, gente più addottrinata e meno fiera; ammoniva due volte prima di procedere; solo gli ostinati e recidivi arrestava; riceveva al pentimento chiunque abjurasse, e spesso contentavasi di castighi morali; col che salvò moltissimi, che i tribunali secolari avrebbero condannati. Gregorio IX poi, ad istanza del famoso teologo Rajmondo de Pegnaforte, la sistemò col togliere ai vescovi la processura, e riservarla ai frati, che così all'uffizio di combattere colla parola gli eretici unirono quello di farli ricredenti o castigarli.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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