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      Novissimo dunque era l'assolutismo in terra di papa, e quando Pio IX iniziava e benediva il moto italiano, nella costituzione 14 marzo 1848 protestò di non fare che «riprodurre alcune istituzioni antiche, le quali furono lungamente lo specchio della sapienza degli augusti nostri predecessori»; e che «ebbero in antico i nostri Comuni il privilegio di governarsi ciascuno con leggi scelte da loro medesimi, sotto la sanzione sovrana».
      Ecco una delle mille prove che la libertà è antica, e nuovo il despotismo; se non che, perduto ogni senso morale e politico, oggi si applica all'uno il nome dell'altra.
      Quest'esiglio d'Avignone viene allegato, nelle odierne controversie, per indicare la possibilità di assidere il papa altrove che a Roma. Chi ciò desidera, non potrebbe scegliere nella storia esempio più sfavorevole, tutti essendo d'accordo nel deplorare quell'età, e mostrar che i papi non devono essere cittadini di paese altrui. Inoltre si avverta che il papa era sempre il vescovo di Roma, non mai il vescovo d'Avignone o di Peniscola, e teneasi fuori della sua sede per circostanze sciagurate. Già sant'Ireneo diceva che «la Chiesa di Roma ha un primato, pel quale tutte le altre devono accordarsi con essa nella fede». Talchè, anche data al problema l'unica soluzione possibile, l'espulsione forzata del papa da Roma, neppure d'un passo s'avanzerebbe la soluzione.
      Ma tenendoci ai tempi di quell'esiglio, Roma altalenò sempre fra insania demagogica e oligarchica arroganza, or ribelle al pontefice per bizzarria, or sottomessagli per paura.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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