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      Giovanni di Gianduno, che con Marsiglio di Padova sostenne Lodovico il Bavaro contro il papa, imparò o insegnò in quest'Università l'averroismo. Dove pure Paolo da Venezia e frate Urbano da Bologna, che nel 1334 ne stese un commento, ed altri, prima di Gaetano Tiene (1387-1465), reputatone fondatore dal Facciolati e dal Tommasino; mentre solo per l'alta sua nascita e per la scienza contribuì grandemente a diffondere tal dottrina con un corso che in numerosissime copie fu diffuso, ed ebbe credito nelle scuole italiche in tutto il secolo seguente. Paolo di Venezia ( - 1429) agostiniano, soprannomato excellentissimus philosophorum monarcha, ammettea francamente l'unicità dell'intelletto secondo Averroè, benchè non ne deducesse l'unicità delle anime. Anzi a Bologna ciò sostenne in pubblica disputa avanti al capitolo generale del suo Ordine contro Nicolò Fava. Ma per quanto si schermisse con tutta l'abilità dialettica, Ugo Benzi da Siena gli gridò: «Fava ha ragione, e tu hai torto». Il Benzi era nemico del Fava, onde Paolo esclamò: «In quel giorno divennero amici Erode e Pilato», e così risolse in riso l'adunanza.
      Onofrio da Sulmona, Paolo della Pergola, Giovanni da Lendinara, Nicola da Foligno, Marsilio da Santa Sofia, Giacomo da Forlì, per nominar solo i nostri, parteggiavano in quel tempo pel peripatismo d'Averroè nella scuola di Padova. Nella quale, e all'abadia di San Giovanni in Verdara a Bologna, Averroè godette venerazione; Michele Savonarola nel 1440 lo chiama ingenio divinus homo, e affrettaronsi a commentarlo Claudio Betti, Tiberio Cancellieri di Bologna, il Zimara, lo Zaccaria, Lorenzo Molino di Rovigo, Apollinare Offredi, Bartolomeo Spina, Gerolamo Sabbioneta, Tommaso da Vio; la famosa Cassandra Fedele veneziana ottenne la laurea nel 1480, sostenendo tesi averroiste: Nicoletto Vernia, che professava a Padova sin al 1499, era imputato d'aver diffuso quel veleno per tutta Italia221, e da lui imparò il Nifo: ma buoni amici l'indussero a ritrattarsi.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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