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      Matteo Palmieri di Pisa, noto autore della Vita civile (1483), cui Marsilio Ficino diresse una lettera come poetæ theologico, scrisse un poema in terzine a imitazione di Dante, intitolato Città di vita, nel quale sosteneva che le anime nostre sono quegli angeli che, nella ribellione, non furono per Dio nè contro Dio, ma rimasero neutri. L'Inquisizione disapprovò tal sentenza, onde il poema non fu mai pubblicato, nè il merita. I soliti parabolani dissero che l'autore fu bruciato col suo libro, mentre consta che ebbe funerali a Firenze per pubblico decreto; il Rinuccini ne recitò l'orazione funebre, e additava appunto posato sul suo cadavere, durante le esequie, quel libro, dove cantava che l'anima, sciolta dalla terrena soma, per varj luoghi s'aggira, finchè giunga alla superna patria.
      Meritava qualche maggior discorso questo Matteo Palmieri. Come ambasciadore della repubblica fiorentina, accompagnando Alfonso re di Napoli a Cuma, finge che la Sibilla lo conduca ai Campi Elisi; e, seguendo un'opinione di Origene, figura che le anime nostre siano gli angeli che non si ribellarono al Dio, ma stettero indifferenti, sicchè Iddio le prova in questo mondo, finchè dopo molto errare, tornino alla città di vita.
      Sono tre canti in terzine; non furono mai stampati, ma rumor grande se ne levò. Il Tritemio, il Genebrardo, Giosia Simler, Elia Dupin, Giovanni Rioche, Oudin, Vossio, Zeno ed altri dissero che Matteo fu bruciato come eretico, e lo Zilioli lo fa ardere in Cortona, appoggiandosi alla cronaca di frà Filippo da Bergamo, che però non dice nulla di ciò. Altri (come il Gelli ne' Capricci del Bottajo) vogliono ne fosse disotterrato ed arso il cadavere, o almeno gittato fuor di terra sacra.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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