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      Chi non vede ove potesse portare un tale eccletismo? Che se veniva applaudito dalle accademie e dalla Corte de' Medici ove tale era la moda, non potea piacere a Roma: e per quanto egli si schermisse dietro a ripetute proteste di soggezione alla Chiesa, realmente alla Chiesa volea sostituir se stesso nel definire e spiegare il dogma per mezzo della cabala e dell'ebraico. Innocenzo VIII diceva: «Costui vuol finir male, ed essere un giorno arso, poi vituperato in eterno, come qualchedun altro. Le cose della fede sono troppo delicate, e non posso tollerarlo: scriva opere di poesia, saranno più da' suoi denti»; malgrado le raccomandazioni del magnifico Lorenzo240, mai non volle ritirarne la condanna, benchè schermisse da ogni molestia l'autore. Il quale, sempre più ingolfato negli studj, per quanto contento di sua sorte a segno, che diceva non vedrebbe di che mormorare contro la Providenza, se pure non perdesse lo scrignetto de' suoi scritti, non sapea darsi pace di essere incorso nella disapprovazione papale, si riprotestava di sentimento cattolico, e intanto non voleva confessare d'avere sbagliato nel sostenere certe proposizioni, anche dopo che furono condannate dalla bolla pontifizia.
      Non mancavano persone che lo istigassero a buttar giù la buffa, romper con Roma, ed eccitare un grande scandalo: ma egli, assaggiata la vanità della scienza, tornò al cuore di Cristo e alla carità, ripetendo la sentenza di san Francesco, «Tanto sa l'uomo quanto opera». Allora contro gli Ebrei difese la fedeltà di san Girolamo nella versione dei salmi; voleva anche scrivere una grande opera per confutare i sette nemici della Chiesa; ma non compì che la parte contro gli astrologi; macerava il corpo; recitava l'uffizio come i preti, consumava «giorno e notte in leggere le sacre carte, nelle quali è insita una certa forza celeste, viva, efficace che con meraviglioso potere converte l'animo del leggitore all'amore divino», e pensava pigliarsi una croce e andar a piè scalzi predicando Gesù Cristo.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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