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      Infatti, se gli scandali erano vecchi, vecchio era pure il disapprovarli; anzi è degna di nota la franchezza con cui, da per tutto ma viepiù in Italia, si censuravano gli abusi degli ecclesiastici. Dante rimproverò i pontefici con una franchezza, che parve ereticale ai nostri secoli, adulatori de' principi e del vulgo. Francesco Petrarca ne' sonetti invocò «fiamma del cielo sulle treccie dell'avara Babilonia, scuola d'errori, tempio d'eresia», e peggio nelle lettere; eppure egli viveva alla Corte pontifizia, e in lui come in Dante i rimbrotti venivano da riverenza e dal desiderio di correzione.
      Dopo di loro, sminuendosi le idee repubblicane e popolari col crescere delle principesche, la letteratura credette far pompa di non pericolosa libertà col volgere le spalle al dogma, invece di esso cantando armi ed amori. Allora allo sdegno di zelo e di ragione di Dante contro i vizj nella Chiesa, Giovanni Boccaccio sostituì lo scherno plateale e l'epigramma delle società gaudenti; ridendo fra i disastri dell'umanità, e dei mali della patria consolandosi coll'egoismo, fa cominciare in chiesa l'osceno suo Decamerone273, dove i vizj e i disordini de' monasteri sono il tema prediletto; e papi, santi, devozioni, misteri vi vengono trascinati, non per correggere il male, ma per celiarne. Che se in frà Cipolla non fa che canzonare gli spacciatori di reliquie, e in ser Ciappelletto le bugiarde conversioni, precipita affatto al razionalismo nella famosa storiella dell'anello, certamente d'origine musulmana e dalla scuola d'Averroè.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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