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      E non meno di eresia religiosa fu eresia politica, combattendo la religione e la civiltà cristiana come nel pensiero così nell'azione: ergendo a principio supremo del vero e del bene l'io umano, in contrasto all'unificazione pontifizia: ergendo lo Stato in divinità; posponendo gli interessi di Dio che fin allora aveano primeggiato, sicchè, dopo aver gridato «Date a Cesare quel ch'è di Cesare», si dimenticherebbe di dar a Dio quel ch'è di Dio.
      Così rinnegato il primato nell'ordine religioso, intaccavasi pure nel civile, mentre parevasi assodarlo. Le conseguenze non si conobbero che tardi, e ai nostri giorni, quando ormai a un'apparenza di unità non si arriva se non a spese della fede, e la fede non si produce che in contrasto coll'unità: ma subito si sentì il disordine.
      Gaspare Contarini, veneziano (1483-1562), entrato ne' Pregadi della sua patria, appena l'età gliel permise, non sapea mai risolversi a prendere la parola, sebbene, quando il faceva, parlasse alla semplice, ma con profondità. Eruditissimo di filosofia e matematica, versatissimo in gravi maneggi politici, essendo stato savio grande del Consiglio, capo dei Dieci, riformatore dello studio, Paolo III lo elesse cardinale con altri sette di gran virtù e dottrina, benchè ancora laico e lontanissimo dal pensarvi: fu ambasciadore della Serenissima presso Clemente VII, col quale s'adoprò di tutta forza per isviarlo dalla politica tentennante, mostrandogli come recasse a precipizio l'Italia. Colla filosofia aveva egli studiato la teologia, propendendo per san Tommaso ma conoscendo tutti i santi Padri, e ancor giovane aveva scritto contro il Pomponazio suo maestro, poi due libri De Ufficio Episcopi (1516) e un altro sull'origine divina della podestà del papa, con semplice gravità e meno triche di scuola che non solessero i teologanti: e di lui diceva il cardinale Polo, non essergli sconosciuto nulla di ciò che lo spirito umano scoprì colle sue ricerche e la divina grazia ha rivelato; e v'aggiungea l'ornamento della virtù.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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