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      Disgustato da quel gran movimento, a cui avea dato di sprone, ma non valeva a mettere il freno; aborrendo la scostumatezza e i disordini soliti dei fuorusciti504, incapace di essere capitano, insofferente di servir da gregario; conculcato, come sogliono essere tutti i precursori, dalla folla che li trascende; invano ricredendosi, e fin ritrattandosi su molte parti di quel suo ghigno letterario, ch'era stato il lampo ai tuoni della calunnia e della negazione, moriva in Basilea, dopo provato quanto facilmente un popolo tramuti i suoi idoli dall'altare al dimenticatojo. E un altro retore, capoameno, che aveva egli pure fatto un elogio della pazzia, il bizzarro milanese Ortensio Lando, ne canzonava la fine col Dialogo lepidissimo505. Così era beffato il beffardo; il quale rimarrà tipo di quel torbido d'indifferenza, che fattosi una gloria della propria perplessità, si attribuisce a merito il risparmiare qualche tradizione; che posa principj, e non ardisce tirarne le conseguenze; che non applaudisce all'errore ma lo titilla; che vede la verità, ma non osa abbracciarla, come Pilato dondolandosi fra la giustizia e la popolarità, fra Cristo e Barabba.
      Pure Erasmo avea toccato un punto principalissimo della controversia allorchè intimava: «Voi vi riferite tutti alla parola di Dio, e ve ne credete gl'interpreti veraci; ebbene, mettetevi d'accordo tra voi, prima di volere dar legge al mondo».
      In quella vece il disordine dagli intelletti trasfondeasi alle volontà e da queste alla vita e privata e sociale: e prima ne risentì la Germania, volta tutta a capopiede.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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