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      Cavaliere gerosolimitano, destro in armi come in trattative scabrose e in giravolte cortigianesche e diplomatiche, fatto arcivescovo di Firenze e cardinale, era stato la mano dritta di Leon X suo cugino; ed allora assunse il nome di Clemente VII (1523 18 novembre).
      Vanno concordi i contemporanei nel dargli lode che non tollerava simonia, non distribuiva i benefizj a capriccio, e in tutto esigeva la regolarità; invece di musici e buffoni, amava intertenersi con letterati, filosofi, teologi, ingegneri; generoso come tutta la sua famiglia, non donava nè prometteva l'altrui; e poichè le sue limosine non impinguavano i cortigiani, dispensieri della riputazione, passava per avaro e misero531.
      Aggiungasi che, trovato l'erario esausto per lo spreco di Leon X e per l'astinenza di Adriano VI, dovette mettere imposizioni e istituire Monti, e principalmente il Monte della fede per soccorrere Carlo V contro i Turchi.
      Ma pretendeva all'infallibilità non meno nella politica che nella fede; sicchè, se ascoltava tutti, faceva poi a proprio senno; e alla conchiusione metteva la politica nell'irresolutezza, e l'abilità nel variare. Subito mandò fuori lettere ove, coi treni consueti deplorando le jatture della cristianità, ne accagionava le discordie de' principi e lo sformamento dell'ordine ecclesiastico; la correzione doversi cominciare dalla casa di Dio: egli emenderebbe se stesso; i cardinali facessero altrettanto; visiterebbe in persona tutti i principi onde concordare una pace; fatta la quale, celebrerebbe un concilio per restituirla anche alla Chiesa.


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Gli eretici d'Italia
Volume Primo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 608

   





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