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      Pertanto il nunzio lo sospese, e riferì ogni cosa al santo padre; ma gliene seppero mal grado i Veneziani, ammiratori di quel bello ingegno, di modo che dopo tre giorni bisognò restituirgli la parola, ch'egli usò più cautamente42.
     
      Da Venezia, il 10 febbrajo 1542, scriveva al marchese del Vasto:
     
      «Illustrissimo signore; Non fu mai, nè manco sarà capitano più valoroso di Cristo. Imperocchè, dove gli altri vincono con potenti eserciti, per forza d'arme e d'artiglierie, e molti con inganni, astuzie o favori di fortuna, Cristo, venendo in questo mondo, solo soletto entrò in guerra, e disarmato d'ogni forza e favore del mondo, sendo in sulla croce, vestito solo di verità, umiltà, pazienza, carità e dell'altre sue divine virtù, con impeto d'amore, in una sola guerra ha superato per sempre non gli uomini del mondo, ma gl'infernali spiriti, la morte, li vizj, e tutti li nemici di Dio, e fatto la più bella e ricca preda dell'anime, per tanti secoli state già in sì misera servitù, che mai si facesse o potesse fare. È ben vero che vi lasciò la vita, ma questo rende più mirabile il suo trionfo e la sua gloria. Però essendo sì divino capitano, V. E. non si ha da vergognare, anzi da onorare d'essere nel numero delli suoi valorosi cavalieri, massime che le palme, corone, vittorie, trofei e trionfi delli suoi soldati senza comparazione sono più gloriosi che quelli del mondo. E si ricordi che prima, cioè nel sacro battesimo, fu ascritto alla milizia di Cristo, che a quella di Cesare; e mancar di fede a Cristo è cosa tanto più vile, quanto che Cristo, degli altri signori è più ricco, liberale, potente, pio, santo, giusto e pieno d'amore: e siccome furono empie quelle parole della turba, Non abbiamo altro re che Cesare, così divine quelle di Cristo, Rendasi quello ch'è debito a Cesare, ma non si manchi a Dio.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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