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      Gli appongono che cambiasse professione, stando ora coi Piccardi, ora coi Luterani, ora cogli Zuingliani; e il Da Porta lo colloca decisamente fra quelli che cambiano credenza secondo il colore del paese e di chi gli dà pane; e per difenderlo, Xist, suo biografo o panegirista, fa avvertire quanto influisca l'atmosfera in cui versa ciascuno.
      Realmente non formulò verun dogma; eppure ciò saria parso conveniente alla dignità sua di vescovo, della quale valevasi tanto nello stabilire formalità. De' suoi scritti l'indole può compendiarsi con sue parole. «Per venti anni, o papato, vissi a te legatissimo e amantissimo, perchè ero cieco..... Ora tu, celeste padre, mi hai mostrato Gesù Cristo; volesti fossi tuo legato; adoprami, ti prego, comunque vorrai. Tu reggimi, e stermina le reliquie della mia carne e dell'umana prudenza.... Io, qualunque mi sia, sempiterna guerra avrò col papa.... sempre mi sforzai a tutta possa di persuadere a chi nol sapesse che il papato è mera impostura; onde bisogna che l'uomo se ne strighi, se desidera esser salvo, e raggiunger la pura e genuina dottrina che il Figliuol di Dio recò dal seno del Padre».
      Ogni tratto palesa dunque rincrescimento di esser vissuto fariseo, incredulo, idolatra; chiama empietà giudaica e idolatrica la sua entrata al vescovado, e deplora i proprj peccati. Ma la taccia d'eretico, datagli da altri Protestanti, non sapeva tollerarla. «Eretico è colui che per vantaggi temporali, e massime per vanagloria e per primeggiare, inventa o segue opinioni false o nuove.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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