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      Son questi gli incanti con che mi salvai, ossia Cristo mi salvò.
      L. Non vedo in che questa tua liberazione differisca da quella di Pietro apostolo. Giacchè anche per te pregavamo quanti adoriam Cristo; e te lo spirito di Dio eccitò, quando neppur sognavi di fuggire. Ma una tal liberazione nessun mai ha udita. E chi dubiterà che quella luce non fosse lo splendor dell'angelo?..... ecc.
     
     
     
      APPENDICE II.
     
      Le Pasquinate.
     
      A Roma nel rione Parione, dov'è il palazzo Orsini, che nel 1791 i Braschi comperarono per cinquantamila scudi, sta sulla cantonata della piazza una statua monca, senza naso, nè braccia, nè gambe. Lodovico Castelvetro, nella Ragione di alcune cose segnate nella canzone di Annibal Caro, riferisce aver udito dal Tibaldeo che a Roma visse un sartore arguto, di nome maestro Pasquino, nella cui bottega in Parione convenivano molti bajoni, ed anche cortigiani, ambasciadori, cardinali, a tartassar il terzo e il quarto. I motti e i frizzi correano poi per la città, e anche quelli d'altri s'attribuivano a maestro Pasquino. Era costui morto da poco tempo, quando presso la sua bottega si sterrò una statua, guasta, ma che giudicossi un capolavoro, e che figurasse Alessandro, o Menelao che sostiene il cadavere di Patroclo. I bizzarri dissero ch'era Pasquino risorto, e cominciarono attaccar a quella le satire.
      Il fatto non è esatto, poichè sappiamo che, al tempo del Tibaldeo, già quella statua stava eretta sopra un piedistallo presso al palazzo Orsini, il quale fu bensì ricostruito dal Sangallo verso il 1512, ma esisteva da ducento anni: e par probabile quel torso fosse scoperto nel cavarne le fondamenta, lungo tempo prima del maledico sartore.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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