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      La riconoscenza de' poveri conservò a Roma, nella cappella d'Araceli, la borsa dalla quale è fama che distribuisse ai bisognosi in un sol giorno quarantamila scudi, e in un altro ventimila.
      Invece di trattenersi a Roma, come troppi vescovi soleano, o alle corti o nelle nunziature, egli volle al più presto venire alla sua sede di Milano. Da quarant'anni essa costituiva una commenda, che passava quasi in eredità a cadetti di casa d'Este, i quali non vi risedevano mai, mettendovi un vicario. In conseguenza la disciplina vi si era sfasciata; nè pietà e costumatezza appariva nei preti, i quali, non che curare le anime altrui, la propria negligevano, e si credeano dispensati dal confessarsi perchè confessavano: secolareschi nel vestire, nelle abitudini, nelle compagnie, trafficavano, e delle chiese e delle sacristie si valevano come di portifranchi per sottrarre le merci e il contrabbando alle imposte e alle perquisizioni; quand'anche non ne faceano ritrovi per conviti e balli. Le solennità e le domeniche erano occasione a bagordi, a feste indecenti e persino feroci; i monaci dati all'ozio in convento, agl'intrighi fuori; le monache, in onta alla clausura, uscivano a far visite e ne riceveano, e l'abilità non manifestavano che in trine, confortini e manicaretti.
      Attorniatosi di valent'uomini, Carlo si accinse a riformare la sua arcidiocesi. Diceva l'uffizio a testa scoperta; leggeva la Scrittura a ginocchio; poco parlava, pochissimo leggeva e neppure le novità, dicendo che un vescovo non potrebbe meditare la legge di Dio se badasse a vanità curiose.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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