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      Non che ravvedersi, egli s'incalorì, e cercò persuadere Carlo V a riconoscere la religione riformata; onde preso di nuovo, dopo la spedizione d'Algeri fu dall'Inquisizione di Valladolid condannato al fuoco. Nell'andare ricusò prostrarsi a una gran croce di legno, la quale immediatamente fu fatta dal vulgo in pezzi, da conservare come reliquie, perchè essa avea respinto le adorazioni d'un eretico. San Romano fu arso vivo, e gli arcieri imperiali ne raccolsero gli avanzi, e l'ambasciadore d'Inghilterra ne cercò diligentemente qualche osso. È dato come il primo spagnuolo che fosse arso per luteranismo.
      L'8 ottobre 1559 Filippo II, appena tornato dai Paesi Bassi, assisteva a un solennissimo Atto di fede in Valladolid, il secondo che celebravasi in Ispagna, e il grand'Inquisitore lesse una formola, per la quale il re giurava prestare ogni ajuto al Sant'Uffizio ed a' suoi ministri, contro degli eretici ed apostati, e di quelli che impedissero direttamente o indirettamente d'eseguirne i decreti. Fra i condannati compariva don Carlo di Sessa, nobile italiano, chi dice di Verona, chi di Firenze, onorato da Carlo V per l'ingegno, imparentato per la moglie con primarie famiglie di Spagna. Irremovibile a persuasioni o minacce, aveva il giorno prima steso una professione di fede in senso reprobo, che il Llorente dice aver letta e ammirata per insuperabile energia. Condannato al rogo, passava davanti al re, al quale rivolto disse: «Come osate voi farmi bruciare?» E il re: «Se mio figlio fosse tristo come voi, porterei io stesso la legna al suo rogo». Gli fu posto uno sbavaglio alla bocca, e giunto al luogo del supplizio, quando gli fu tolto acciocchè potesse abjurare, esclamò: «Mettete subito il fuoco; se mi lasciate tempo, dimostrerò che voi correte alla perdizione qualora non operiate come me».


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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