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      A settantadue anni, dissipato il ricavo del venduto patrimonio, giunse senza denari a Rodi, ove tenea stanza un religioso, rinomato in tutto levante come possessore del grand'arcano. Avuti da un mercante veneziano ottomila fiorini e raccomandazioni, potè penetrare fin a costui, che tre anni lo tenne in istudj e speranze onde preparare il magistero per mezzo d'oro e d'argento, amalgamati a mercurio; alfine gli aperse i secreti della scienza ermetica: cioè gli indicò che tutto era frode, spiegandogli questo assioma, «Natura si fa giuoco di Natura, e Natura contiene la Natura», il che significa in linguaggio comune che per far oro ci vuol oro; e tutta l'alchimia non giunse mai a ottenerne di più di quello che adoperò.
      Perduta a settantacinque anni l'illusione di tutta la vita, il conte Trevisano volle almeno giovare agli innumerabili adepti della scienza ermetica, occupando i sette anni che ancor sopravisse a scrivere diversi trattati su quella scienza. Il più celebre dei quali, intitolato Il libro della filosofia naturale de' metalli, certo pochissimi vorranno leggere nel tomo ii della Bibliothèque des philosophes chimiques; opera inutile anch'essa, giacchè, invece di confessare schietto i suoi errori a scanso degli altrui, si rinvolse in modo, che molti cercarono in esso la scienza ermetica, molti perseverarono a crederlo maestro della grand'opera.
      Non appartengono alla nostra nazione nè Teofrasto Paracelso, predicato come testa divina, e creduto autore di miracolose guarigioni e di trasformazioni ultranaturali; nè Cornelio Agrippa di Colonia, consigliere dell'imperatore, deputato dal cardinale Santa Croce ad assistere al concilio di Pisa, professore di teologia a Pavia, chiesto a gara astrologo da re di corona, dal marchese di Monferrato, dal cancelliere Gattinara, e che, entusiasta insieme e scettico, diede lo stillato delle teoriche e delle pratiche delle scienze occulte.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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