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      E Paolo Giovio, l'11 marzo 1545, da Roma: «Signor mio onorandissimo, venendo di ritorno costì li signori Stuffi dalle stazioni di Roma, ho voluto fare questa credenziale a M. Giovanni Michele, qual mi promette che farà chiara vostra signoria come il Giovio le è immortale servitore: e così si congratulerà del suo benestare, e narrerà come ora suda più che mai al fumo della lucerna per dar conto a' posteri di questa trama del ladro mondo. Io mi sto in forma antica, in grazia di Padre, Figlio e Spirito Santo: e valemo pur qualche cosa più di quello si estimano le melarancie verdi. Baciate M. Donato Rullo con quella affezione che io bacio il signor Priuli quando ritorna da Viterbo, e ditegli ch'io li sono obbligatissimo servitore a tutto transito».
      Un'importante lettera di monsignor Ubaldino (Bandinelli?) al Carnesecchi da Fontainebleau 28 agosto 1534, molta parte in cifra, esiste nella Magliabecchiana, classe vii, 51, in cui tra altre cose narra aver parlato a lungo di monsignor di Parigi, il quale sapeva esser stato accusato al papa d'aver trattato troppo coi Luterani; «e scusossi del modo ch'egli avea tenuto in praticar con esso loro, dicendo che non cedeva a nessuno che fosse miglior ecclesiastico che lui: ma che, dapoi ch'egli avea veduto quella setta tanto confermarsi e di numero e di autorità d'uomini, che a volerla batter per forza era quasi impossibile, e certo pericolosissimo, giudicò si dovesse procedere con una certa destrezza, e non col gridare Abbrucia, Ammazza, che ad ogni modo non si potea fare: però e' gli aveva ascoltati sempre che glien'erano capitati alle mani, e con parole amorevoli e buone ragioni s'era sforzato di ridurli, di certe cose di minor importanza tacendo, in certe altre riprendendoli gravemente, e con quest'arte aveva avuto adito e autorità presso di loro quasi come uom di mezzo e senza passione alcuna, e con questo egli aveva fatto migliori effetti che quelli che eran voluti andare con tutta la severità, perchè loro sono stati causa di maggiore ostinazione.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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