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      «Io ho ritratto... che non ci è verso alcuno per ora ad ajutarlo: e ciò che le e. v. facessero non gioverìa cosa alcuna, ma sì bene imbratterebbe in gran parte quella candidezza e gran volontà «che con l'opere hanno mostro contro questa pestilenza d'eretici: per il che appresso s. s. sono tenute in concetto de' più cattolici principi che sieno in cristianità».
      Un calabrese va a dirgli che monsignor Carnesecchi gli si raccomanda, temendo non si procedesse contro lui a qualche castigo vituperoso, o anche della vita, avendo confessato tutto quel che poteva dire contro di sè, senza far danno ad altri, avendo avuta due volte la tortura. Ciò avea saputo da un barone del regno, uscito dall'Inquisizione. Ma di quei casi poter intendersene poco, essendovi scomuniche gravosissime a chi parlasse di cose attinenti al Sant'Uffizio.
      Il Serristori esalta il gran merito de' principi toscani d'averlo subito consegnato, benchè da sì gran tempo buon servitore della casa loro: ma il cardinal Paceco sconsiglia sempre dal pigliarvi interesse finchè non sia pronunziata la sentenza. Si lagna che il Carnesecchi siasi mostrato molto leggero; che questa è la quinta sentenza: «Hannogli trovato grandissima quantità di lettere della signora donna Julia, e hanno intercetto più lettere che scriveva costà della confidenza che aveva nel favore delle e. v. L'aver preso e accettato la difensione credo che l'aggravi molto, e saria stato forse meglio che si fosse umiliato, e avesse confessato e conosciuto l'errore».


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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