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      «Alla mia impresa ho ritornato il primiero motto, sì come puoi vedere, e me ne servo non per Delia, ma per soggetto divinissimo, il quale non t'è nascosto. Dispiacemi che il Benvogliente sia stato egli cagione, quantunque non sia lontano dalle belle lettere, di ritrarsene; perdonimi sua signoria, in questa parte non sa dov'egli s'abbia il capo, bisogna pur ch'io lo dica: e che vale un legista se egli non è tutto ripieno di belle lettere? o mi dirà, Le belle lettere non son de pane lucrando. Gran mercè a lui: adunque si studia per guadagnare o per divenir grande e famoso? Messer no, questo non è il vero fine degli studj, ma sì bene il giovar primieramente con la sua scienza ad altrui, e poi l'aver nelle lettere come un rifugio in tutti i travagli. Dirà, che cosa può più giovar al mondo che le leggi e la conoscenza d'esse, per le quali tutte le città si mantengono in pace e tutte le provincie? E in ciò s'inganna troppo evidentemente; non è sì vil mestiero al mondo che oggi non sia più giovevole a tutti comunemente, che la scienza delle leggi civili, trattata come s'usa ora; anzi non vi ha scienza che sia ricevuta e approvata, parlo delle scienze umane, che apporti maggior nocumento al mondo che quella delle leggi civili, trattata da dottori, avvocati, auditori e simile generazione, nel modo che si costuma in tanti e tanti luoghi, di che rendono piena testimonianza quelle città, ch'hanno dato bando a sì fatte genti, le quali vivono tanto quietamente, che non si potrebbe dire: non istà almeno un pover'uomo trent'anni a litigar e consumarsi su per li palazzi: non s'ode nè Bartolo, nè Baldo, nè Cino, nè Alessandro, nè tanta canaglia che nacquero al mondo per mettervi una peste perpetua.


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Gli eretici d'Italia
Volume Secondo
di Cesare Cantù
Utet
1865 pagine 728

   





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