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      Da questa nota, così stranamente mista di rozzezza e pretensione, appare quanto fosser temuti dai Milanesi da un lato la reputazione di eretici, dall'altro i danni che ridonderebbero dall'Inquisizione fin ai loro commercj e ai possessi.
      Contemporaneamente Brivio Sforza era spedito allo stesso fine al Concilio di Trento; ed è riferito dagli storici che esso e un altro ambasciadore supplicarono i prelati e cardinali della Lombardia ad aver pietà della patria comune, la quale, se ai tanti mali s'aggiungesse questo gravissimo, vedrebbe molti cittadini migrare. Che se quelli che esercitano il Sant'Uffizio in Ispagna, sotto gli occhi proprj del re, abusavano tanto, e rigidamente pesavano sui compatrioti, che non farebbero nel milanese, lontano e non amato? I prelati lombardi del Concilio, uniti scrissero al papa e al cardinale Borromeo, come quello a cui viemmeglio spettava la tutela della patria, e mostravano come qui non militassero le ragioni che l'aveano fatto istituire in Spagna; che, oltre portare sicura rovina nella Lombardia, avrebbe avviato a istituirla anche nel regno di Napoli, con diminuzione dell'autorità della santa sede, giacchè i prelati si sarebbero conservati devoti non ad essa, ma al principe.
      Anzi i Padri domandavano che nei decreti del Concilio si mettesse qualche espressione, che esentasse e assicurasse i vescovi dal Sant'Uffizio spagnuolo, e stabilisse il modo delle procedure. Il cardinale Morone, presidente al Concilio, dava qualche promessa di ciò, ma non ne fu fatto nulla; pure l'incidente tenne turbato e sospeso quel sinodo finchè non si seppe che il governatore duca di Sessa, vedendo pericolo che i Milanesi imitassero i Fiamminghi e si facessero protestanti, sospese il decreto, che poi fu lasciato in dimenticanza.
      In una relazione dello Stato di Milano di quel tempo, deposta nella biblioteca Trivulzio, leggiamo: «Essendo il re di Spagna e per sua propria volontà e per varj suoi rispetti principe veramente cattolico, di sua volontà e comandamento nello Stato di Milano sono gravemente perseguitati gli eretici, e novamente ha comandato sua maestà che tutti i fuggitivi degli altri Stati d'Italia per la religione, non siano tollerati nel detto Stato, per provvedere che non infettino gli altri.


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Gli eretici d'Italia
Volume Terzo
di Cesare Cantù
Utet
1866 pagine 895

   





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