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      Fu un investigare pieno di trambusto, un andare e venire di molte volte per la stessa via, e sempre indarno. Decisi alfine i miei genitori di cangiar strada, dopo l’aver vagato per molte ore, videro una bettola semiaperta, dove lo schiamazzo della gente indicava la gozzoviglia. Spinto l’uscio, mi trovarono stesa sul piano di due sedie accostate, ed immersa nel più placido sonno, mentre il famiglio, ubbriaco, clamorosamente bussavasi con altri compagni di stravizzo. La precipitazione con cui mia madre ricuperò la sua diletta proprietà, mi ridestò. La scena inconsueta dove mi trovai, le grida di mio padre, che, preso per la gola il malvagio servo, lo fece stramazzare bocconi, scolpirono profondamente quel risvegliamento nella mia memoria. È questa la prima e più antica rimembranza della mia vita.
      Dopo quattr’anni di dimora in Bari, mio padre richiamato per telegrafo a Napoli partì sull’istante. I Borboni solevano agire con quel misterioso terrorismo, che formidabile lasciò scritto nella storia il nome del Consiglio de’ Dieci. Senza saperne la ragione, venne dall’ingiusto governo passato alla quarta classe; né senza fatica finalmente giunse a penetrare d’essere stato incolpato di non so quale fatto politico.
      Mandò ad avvertire mia madre d’apparecchiarsi prontamente, e di portarsi in Napoli colla famiglia, facendosi accompagnare nel viaggio da un amico di lui. Messa adunque in assetto ogni cosa, prendemmo la carrozza di posta, affine di giungere più presto alla capitale.
      Eravamo al terzo giorno del viaggio, allorché mia madre s’accorse, che un pallore cadaverico copriva il volto dell’uffiziale datole per compagnia da mio padre.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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