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      «Crudele!» io esclamava sospirando; «non ti bastava dunque la barbarie di abbandonarmi, ma hai pure scelto per tua dimora una casa a me vicina, acciocché io ti vegga ognora al fianco della donna che mi suppianta! ».
      Scorsero non poche ore fra il pianto e le smanie. Alfine cercai di calmarmi, per non attirare l’attenzione della genitrice al suo ritorno. Ma ella, avvedutasi delle mie fattezze alterate, delle péste ed arrossite palpebre, volle conoscere il motivo che mi contristava a tal punto.
      «Un forte mal di capo» le dissi.
      E non mentiva. Il dolore sofferto era di tal natura da farmi ammalare. Infatti, dopo tre soli giorni, che passai nelle più acerbe pene, e nel corso de’ quali evitai di vedere e di farmi vedere da Carlo, fui assalita da una febbre gastro-biliosa che mi durò due settimane.
      Non impedì per altro la febbre ch’io mandassi di volta in volta la cameriera alla fatal finestra, per sapere quello che Carlo si facesse. Ne avea in risposta che tutto era chiuso. La pregai d’informarsi da qualche persona di sua conoscenza, se le trattative del matrimonio progredivano, perché l’amore, non meno vivo di prima nell’animo mio, mi lasciava sperare che la notizia della mia infermità avrebbe ritenuto il barbaro dal consumare il tradimento. La risposta che ne ricevetti si fu, com’egli spendesse l’intera giornata in casa della fidanzata, ed una sola settimana mancasse alla celebrazione degli sponsali.
      Quest’ultimo colpo pose il colmo alla mia disperazione. Piansi l’intera notte, come sogliono piangere tutte le fanciulle che acquistano l’esperienza del mondo a forza di disinganni e di lagrime.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Carlo Carlo