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      Havvi donna che non abbia amato? Tale donna, avesse pure infusa nello spirito suo tutta quanta la scienza di Platone e d’Aristotile, non conoscerebbe il mondo che per metà!
      La mattina seguente il mio spirito era rasserenato. Sulla tomba della mia passione posi di propria mano la funerea lapide, e vi scolpii oblio! Imitino il mio esempio le giovanette, cui la sana educazione non fa vedere nell’amante altro che lo sposo futuro! L’immagine di Carlo non mi ritornò più nella mente, se non sotto le sembianze d’un personaggio drammatico, le cui vicende m’avessero commossa non ha guari in teatro.
      Giunsi alla convalescenza.
     
      [25]
     
      Una sera, a notte avanzata, udii il romore di molte carrozze, che fermavansi a non grande distanza dalla mia casa.
      «Antonia!» gridai: «Antonia!». Accorse la fantesca.
      «Cos’è questo fracasso in istrada? È forse lo sposo?»
      «Sì signora. E la sposa, che viene accompagnata in casa del signor Carlo da’ suoi parenti...»
      Ebbi una scossa elettrica.
      «E le nozze quando saranno celebrate?»
      «Stasera stessa».
      Poggiai di nuovo la testa sull’origliere, e mi tacqui. Era già rassegnata.
     
      Parecchi mesi dopo il fatto sopranarrato, la città trovavasi in movimento. Reggio attendeva Ferdinando II al suo ritorno da Palermo.
      Mio padre fu avvertito allo spuntar del giorno che il vapore era alle viste. Vestitosi in fretta, recossi al luogo del ricevimento.
      La sera, una sontuosa festa da ballo fu data nel palazzo Ramirez.
      M’acconciai con semplicità ed eleganza. Io e Giuseppina vestimmo un abito di velo cerise col sott’abito dello stesso colore: il seno, decentemente scoverto, era guernito d’una collana d’oro, e la chioma formava una pioggia di ricci, distribuiti sull’una e l’altra parte del volto all’uso inglese.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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