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      Eravamo da circa mezz’ora nella sala del ballo, quando giunse il re. Mio padre, facente parte della comitiva, ci presentò a Sua Maestà.
      Prima di scegliersi una compagna per la danza, volle Ferdinando starsene spettatore per qualche tempo.
      «Quelle due ragazze en cerise sono le vostre figlie, maresciallo?» domandò a mio padre il marito della virtuosa Cristina.
      «Maestà, sì».
      «Me ne rallegro con voi: ballano a maraviglia».
      Finito il valzer, fu pregato di scegliersi una compagna. Lo vidi dirigersi alla mia volta, per invitarmi egli stesso, mentre al ministro Delcaretto indicava col gesto mia sorella Giuseppina, destinata a fargli il vis-à-vis.
      Se Ferdinando II avesse saputo condurre il suo governo e trattare il popolo a lui soggetto coll’amabilità cavalleresca che mostrò nelle figurazioni della quadriglia, chi sa per quanto tempo ancora avrebbe l’Italia aspettato il compimento de’ suoi voti!
      Dopo il ballo se ne partì.
     
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      La politica era allora per me, come per altri moltissimi, una parola vuota di senso: poche volte sentiva parlarne, perché la classe degli ascoltatori incuteva paura a tutti... Chi m’avrebbe detto quella sera che avrei detestato e Ferdinando, e Francesco suo figlio, e tutti coloro che portano il nome borbonico!
      Null’altro di singolare ricordo sino al 1838, tranne due fatti accaduti in mia famiglia: siami lecito di rammentarli.
      Eravi nel palazzo, da noi abitato, un piccolo coretto, con una grata, che dava nella chiesa di SantAgostino: lì ascoltavamo la messa e facevamo le serali preci.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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