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      Un giorno, mentre Giuseppina vi passava, parte del pavimento sprofondò. La poverina cadde tramortita; e sull’istante si credette lieve cosa quanto era successo, ma l’infelice ne rimase zoppa, anzi per effetto di quella caduta scese al sepolcro pochi anni dopo.
      Un’altra mattina, mi recai nella stanza di mio padre per dargli il buongiorno; gli presi riverente la mano per baciarla: egli, sollevatomi il capo, mi domandò sgomentato se mi sentiva male.
      «Non ho nulla» risposi.
      «Come nulla? Tu non stai bene!»
      «Dio mio, è curiosa davvero! Mi sento benissimo!»
      «Mirati nello specchio!».
      M’accostai al cristallo, e vidi il mio volto coperto di macchie d’un rosso accesissimo. Ei mi fece sedere accanto a sé, ed avvertì mia madre che facesse chiamare tosto il medico. Ma qual fu la nostra sorpresa nel vedere Giuseppina, che pur usciva della sua stanza, col volto più macchiato del mio!
      Si comprese allora essere stato l’effetto d’una pillola di bella donna, che ci avevano somministrata in drastica dose, perché avevamo entrambe la tosse convulsa; e ci credettero avvelenate.
      Il medico non giungeva; frattanto il nostro stato diveniva da momento in momento più critico. Il rosso del volto spandevasi per tutto il corpo: una gagliarda palpitazione ci sopraggiunse, e la vista ne restò oscurata.
      Non arrivò il professore che dopo un’ora di angustia, e con succo di limone e molta neve arrestò i progressi del veleno.
     
      Era il mese d’ottobre. Dopo la tempesta sofferta per l’inganno di Carlo, il mio cuore godeva d’una calma perfetta.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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