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      Questo suo carattere m’era causa di martirio nell’impossibilità di comunicarci le idee, essendo cosa oltremodo difficile per me il ricevere una lettera, più difficile ancora, per la sorveglianza di mia madre, il potergli rispondere.
      In uno di questi malaugurati accessi di malinconia, troppo frequenti nella natura calabrese, Domenico prese il cappello, e andò via senza farsi vedere per più giorni.
      Rimproverato dal suo giovine amico e confidente dell’insussistenza de’ suoi sospetti, ritornò, per annunziarmi d’essersene sincerato; sedette sur una sedia dov’io appoggiava i piedi, e prese a conversare famigliarmente, sicuro che la presenza di mia madre l’avrebbe salvato dall’accusa di volermi corteggiare.
      Ma costei non cercava che un pretesto per allontanarlo da me: sufficiente cosa sembrolle d’aver trasgredito il suo ordine. Rimaste sole, mi fece dire che mi attendeva nella sua stanza. La trovai coricata in letto.
      Lunga ed amara fu la sua esortazione. Mi trattò da indocile, perché m’ostinava ad amare un uomo, cui né ella né il padre di lui volevano darmi in isposa. Disse essersene accorta dell’umore cupo e geloso di Domenico, nonché de’ dispiaceri che quella gelosia mi cagionava; conchiuse, ch’era tempo ormai di finirla, avendo entrambi stancata la sua pazienza. L’essersi seduto a me dappresso, malgrado il suo divieto, presentava propizia l’occasione per troncare definitivamente i progressi d’un folle amore. A quest’uopo ricevetti l’ordine di non comparire la sera di quel giorno in società, ma di trattenermi sola nella mia stanza.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Domenico Domenico