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      Io non ignorava lo stile irrevocabile delle materne risoluzioni. Mi ritirai tremante presso Giuseppina, la quale m’attendeva, impaziente di sapere l’esito dell’abboccamento. Questa cara sorella era il mio angelo consolatore. Mi fece sedere, vedendo che le gambe non mi reggevano; cercò d’interrogarmi; non potei rispondere. Mi spo-
     
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      gliò allora, assistita dalla fantesca, e mi mise in letto, dove, non sì tosto entrata, fui colta dal primo di quegli attacchi nervosi, che non mi hanno più abbandonata, e de’ quali sovente fui sul punto di restar vittima.
      Mi fecero odorare de’ sali. Il mio petto era ansante, le fauci inaridite, un fortissimo freddo facevami balzare sul letto. Dopo un’ora soltanto, le lagrime poterono farsi strada, e scorrere abbondanti per le guancie.
      Mio padre, dotato d’impareggiabile mansuetudine, aveva interamente abbandonata alla moglie la direzione delle figlie, né mai si opponeva alle risoluzioni di lei, credendole sempre convenienti. Saputo adunque l’accaduto, egli acconsentiva alla sentenza che escluder doveva Domenico dalla nostra società.
      Questi, ignaro di tutto, non mancò di venir quella sera, secondo l’usato. Notò l’assenza mia, ma credette sul principio che qualche cura impreveduta m’avesse trattenuta in altra stanza. Frattanto il tempo scorreva; non vedendomi punto comparire, cominciò a sospettare del vero, e se ne turbò.
      S’accostò a mio padre, il quale, incapace d’usare scortesia a chiunque, lo trattò come sempre. S’appressò a mia madre: fu agghiacciato dalla severità di lei, ch’egli non aveva notata nell’entrare in sala.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Giuseppina Domenico