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      Una sera mi posi al piano-forte mentre si ballava una quadriglia.
      «Perché non balli?» venne a domandarmi la madre, atteggiata di sdegno.
      «Non mi sento bene».
      «Vorresti, ragazza, darla ad intendere a me! Qui, non m’inganno, ci deve star sotto qualche divieto dell’amante...»
      «Vi assicuro che...»
      «Bada che non soffro capricci. Alzati, e balla!’».
      Mi convenne ubbidire; ma fui tratta dalla danza in uno stato non lontano del deliquio.
      Né s’arrestarono lì i rigori della madre. Saputosi che Domenico ronzava l’intera notte intorno alla nostra casa per osservare i passi di coloro che ci visitavano, e conoscere se fra quelli vi fosse per avventura qualche rivale, mi venne imposto di non affacciarmi ad altra finestra, se non a quella solamente che non dava sulla via maggiore, ed era riparata da ogni parte.
      Se l’incalzare delle restrizioni ebbe per effetto di fomentare sino allo stato di frenesia l’umore naturalmente permaloso, e la passione fosca del giovine, io, dal canto mio, mi trovai in una di quelle crudeli alternative dalle quali impossibil cosa è l’uscir senza discapito.
      Relativo a questa mia situazione avvenne in quel mentre un fatto, che mi credo in dovere di non passare in silenzio.
      Messina, cospicua città, situata, come si sa, a dodici miglia di distanza da Reggio, e divisa da quello stretto che in tempo procelloso fa impallidire il più esperto nocchiero, suole festeggiare con pompa solenne l’Assunzione della Vergine per quattro giorni, che
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      cominciano al 12 e finiscono al 15 d’agosto.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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