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      Paolo mantenne puntualmente la promessa. Si allogò a me dappresso, come l’ombra mia stessa, facendo del corpo suo una barriera insormontabile per ogni altra persona che avesse voluto avvicinarmisi.
      Mi sapeva mill’anni che, scevro di qualche dispiacere, giunges-
     
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      se l’ultimo giorno della festa. Disgraziatamente non fu così.
      Erano le nove di sera, allorché Paolo mi disse che usciva un momento solo, per fare acquisto d’un oggetto che gli era necessario.
      «Fate presto, Paolo, per carità» gli dissi: «sapete bene che alle dieci dovrò seguire la brigata al palazzo della Borsa».
      «Sì» rispose «ma c’è un’ora ancora di tempo, ed io chiedo solamente pochi minuti».
      Ciò detto, se ne partì.
      Non aveva appena scesa la scala, che mia madre ordinò a me e a Giuseppina di prepararci per uscir di casa.
      «Ma che faremo» le dissi, «sino alle dieci, ora fissata per recarci alla Borsa
      «Andremo attorno per godere della luminara».
      «Non siamo tutti» soggiunsi: «manca ancora qualcuno della comitiva».
      «Chi manca ci raggiungerà» replicò essa in tuono che non ammetteva replica.
      Mi tacqui, e feci lentamente gli apparecchi necessari, colla speranza che Paolo esser dovesse di ritorno per darmi il braccio.
      Mia madre, Giuseppina e gli altri aspettavano già pronti che mi unissi a loro. Strappai un bottoncino dal guanto, e pregai che avessero la pazienza di attendermi, finché con un ago me lo riattaccassi.
      «Inutile!» fece mia madre in collera. «Eccoti uno spillo, che farà le veci del bottoncino».
      Presi lo spillo, e seguii la brigata, guardando affannosamente se Paolo arrivasse.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
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