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      D’allora in poi ogni gioia si tace, il cielo s’imbruna d’ogni intorno, il riso non è più vivo per me: di qua comincia la mia dolorosa storia. Inde lachrymae!
     
      Per la paura de’ terremoti, non potemmo tornare in casa, che la mattina del sesto giorno; non già perché cessato del tutto fosse il pericolo, ma perché mio padre, ormai settuagenario, e pregiudicato inoltre nella salute dal lungo disagio, accusava un malessere generale.
      Io amava, adorava questo padre con tenerezza non comune: l’amava più della madre, e non senza ragione. V’ha de’ genitori, i quali non contenti di usare un’ingiusta predilezione a favore d’uno o di più figli, hanno pure l’imprudenza amara di farne in famiglia incauta mostra. Mia madre (aggravo con dolore la sua memoria) non andava esente di tale debolezza, giacché, per non so quale istinto, prona alle domestiche preferenze, non si prendeva almeno la cura caritatevole di velarle agli occhi de’ meno amati. Ora nel numero delle sue predilette non era io, né scorreva giorno alcuno ch’io non me ne convincessi per novelle ed evidenti prove. Mio padre, in compenso, suppliva alla scarsezza dell’affetto materno, raddoppiandomi il suo.
      La sera del 21 settembre io sedeva al piano-forte, intenta a ricreare il genitore, e stava cantando un’aria della Norma, a lui diletta, quando lo udii sospirare. Credetti che qualche spiacevole pensiero l’avesse turbato di passaggio, e proseguii il canto.
      Un secondo sospiro, seguìto da una sommessa prece, mi giunse all’orecchio.
      Mi alzai tosto, ed avvicinatami a lui chiesi di ciò che tanto l’affliggesse.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Norma