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      «Per l’ammissione mia...! Per me! Buona figliuola, v’ingannate» risposi ridendo di buon cuore.
      «Sì, signora, per voi stessa; non m’inganno, no. Venite dunque subito a ringraziare le monache, e fissare il giorno dell’entratura».
      Mia madre, non vedendomi ritornare sull’istante, veniva a vedere con chi m’intrattenessi all’uscio, e giungeva a tempo per udire le ultime parole della cameriera. Comprendendo che quel discorso, quanto inaspettato, altrettanto spaventevole, doveva stordirmi per modo da togliermi l’uso della favella:
      «Va bene, va bene» disse, sospingendomi e facendosi avanti. «Ringrazia cordialmente mia cognata, e dille che la monachella le sarà condotta oggi stesso».
      Ciò detto, chiuse l’uscio, e presami per la mano, divenuta più fredda del ghiaccio, mi menò nella camera da letto.
      Se un fulmine mi avesse atterrata, non avrei ricevuto una scossa più formidabile.
     
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      Proruppi in singulti disperati, mi rovesciai bocconi sull’origliera del canapè, che innaffiai con molte lagrime, indi mi slanciai in grembo alla madre, implorando misericordia alle sue viscere.
      Ella, imperturbabile di contegno, sebbene non priva di commozione, stese la mano sulle mie palpebre per asciugarmi col fazzoletto le lagrime. Poi, in tuono grave, e con parole misurate, che mi risuonano tuttora all’udito come sentenza di pena capitale, disse essere stata costretta a fissare il mio ingresso nel monastero sì dalle ristrette sue finanze, sì dal mio capriccio per Domenico.
      «Le tue zie» soggiunse, «sono ricche; consegnandoti a loro infino a tanto ch’io cominci a percepire le mie pensioni, sarò sgravata di un peso.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Domenico