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      Quanti sforzi magnanimi non usarono i parenti paterni, onde indurre mia madre a non sacrificarmi! Rispondeva costei, che farmi dimorare due mesi in un convento di nobili donzelle, non era al certo volermi immolare. Tale infatti, com’ebbi più tardi l’occasione di verificare, era allora la sua intenzione.
      La principessa di Forino si offrì di tenermi in casa sua per quei due mesi, ed i suoi figli, miei cugini, s’impegnarono a farmi sposare il duca di * nostro lontano parente, e allora vedovo. Mia madre rese grazie dell’offerta gentile, e disse che del matrimonio se ne sarebbe riparlato al suo ritorno di Calabria.
      Né soltanto gli stretti parenti, ma pure agnati ed amici gareggiarono in quella circostanza di compassione e di benevolenza in mio soccorso. Il generale Salluzzi, uomo dotato di non comune filantropia, e commilitone di mio padre, mi assicurò che qualunque fosse per essere nell’avvenire lo stato mio, egli mi avrebbe fatto un dono di mille ducati.
      La sera de’ 2 gennaio avvenne, com’era stato prestabilito, lo sposalizio di Giuseppina: l’accompagnai piangendo (inseparabili sono le lagrime dal mio dramma!). Essa andava nelle braccia d’un uomo che amava: io, misera, mi allontanava per sempre e da lei e da ogni altro essere diletto.
      Il mio pianto, estremo sospiro d’un agonizzante, contristò la funzione... Funesto presagio in una sera di nozze.
     
      Al fine sorse l’alba del sabato 4 gennaio.
      Io portava allora i capelli in lunghi ricci. Nell’atto d’acconciarmeli in quella foggia consueta, la voce della madre mi fermò.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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