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      «Che vai facendo?» mi diss’ella: «Ti pare sia quella un’acconciatura che si addica a convento? Sciogliti presto i ricci! Stamane devi solamente lisciare i capelli».
      «Ma, Dio buono, io non entro nel convento per farmi monaca!» risposi indispettita al sommo. «Se non devo abitarci che per due soli mesi, perché disadornare la mia pettinatura, perché smettere le mie abitudini?»
      «Ch’io non ti voglia far monaca, tu ben lo sai; ma la badessa mi ha raccomandato di non menarti stamani colla chioma preparata così, affinché le monache non ti chiamino vanarella».
      E in così dire, prese il pettine, e di propria mano mi lisciò i capelli.
      Di là a poco venne il generale Salluzzi e la nuora della principessa di Forino, che dovevano accompagnarmi al chiostro.
      Lungo il tratto di strada che dalla Madonna delle Grazie a Toledo mena a San Gregorio Armeno, mi sentii immersa in uno stato morale, che partecipava dello stupore e dell’estasi. Parevami d’essere nelle angustie d’un sogno funesto. Fu assalita la mia memoria dalle più care e patetiche rimembranze d’un passato, ch’era in procinto di separarsi da me per un tempo non determinato con sicurezza: mi tornarono in mente gl’innocenti trastulli dell’infanzia, divisi con amiche più fortunate di me: le tenere carezze di mio padre, e gli ultimi fatali suoi compianti: i gaudi dei primi amori, e l’immagine di Domenico... Ahi! specialmente a questa reminiscenza ricorse più spesso la mia memoria, straniera perfettamente a tutto ciò che avveniva o dicevasi a me d’intorno.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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