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      Non giungeva all’udito mio che l’eco spirante delle popolari esultanze, siccome fragore di mare lontano.
      Una commozione novella m’invase: all’aria libera, sotto l’immensa volta del firmamento mi sentii sola, è vero, come prima, ma non isolata. La voce del Signore m’appellava alla contemplazione della sua misericordia.
      Piegai il ginocchio a terra, giunsi le mani, sollevai al cielo le pupille bagnate di pianto, ed invocai l’aiuto dell’Onnipossente.
      «E che son io?» esclamai, rialzatami poscia e tergendo le lagrime; «che sono i miei patimenti in confronto a quelli della nazione cui appartengo? Se sotto il doppio giogo della temporale e della spirituale tirannide langue l’Italia intera, pretenderei io, atomo incalcolabile, io sola fra tanti milioni di oppressi, consumar la vita nei contenti e nella prosperità?»
     
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      VIII reverendi
     
     
     
     
      Eccomi adunque segregata per un tempo indeterminato da quella società, nel cui commercio aveva vissuto vent’anni: eccomi sbalestrata d’un tratto nelle angustie d’un mondo negativo, nell’intimo e giornaliero contatto di monache, di monaci, di preti.
      Profitterò io di questo naufragio, per indicare al lettore alcune spiaggie forse non ancora esplorate, per rilevare alcuni tratti della vita claustrale infino ad oggi rimasti inaccessibili a tutt’altri che ad una donna? Mi proverò.
      Ma prima di dar seguito al mio racconto, nelle peripezie del quale avranno parte rilevantissima il despotismo clericale e la monastica depravazione, discara al lettore non sarà, mi lusingo, una breve prospettiva degli stabilimenti ecclesiastici, esistenti nella nostra penisola in generale, ed in Napoli particolarmente.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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