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      «Giovan Battista Lomellino, nobile genovese, ritrovavasi in Napoli, facendo il mercante, come costumasi da quella nazione: uomo molto ricco e galante, il quale innamoratosi di una donzella della famiglia Berardini, figlia di Fulvia Caracciolo, la richiese per moglie. Ma, non ostante l’impegno del viceré, gli fu dalli parenti negata; per il che si risolse pigliarsela, senza consenso delli suoi parenti. Allora, con grossi regali di gioie alla giovine (fatti per mezzo delli familiari con doni pur corrotti), l’indussero a fare una procura ad un suo amico; ma il notaro, subito fatta la procura, avvisò li parenti della giovine, che si chiamava Diana, i quali esaminando li creati, trovarono che il Lomellino una sera s’era introdotto in casa come sposo della fanciulla. Del che maggiormente infieriti, trovarono alcuni assassini, i quali, la domenica delli nove d’agosto 1578, postisi in una carrozza, passarono per la casa del Lomellino e lo chiamarono per nome; e quello, essendosi affacciato alla finestra, uno di loro tirògli un’archibugiata, che, colpitolo in testa, senza poter dire una parola, cadde morto. Postisi di nuovo in carrozza, si posero a fuggire; ma, sopraggiunti alla corte, furono carcerati, e confessato il delitto, l’uccisore, alle quattro ore di notte dell’istessa sera, fu appiccato davanti la casa dell’infelice Lomellino, e Diana, posta nel monastero di San Ligorio (San Gregorio), si fe monaca».
      Ma dimentico d’aver promesso fatti concreti, anzi che ragionamenti storici.
     
      Torniamo dunque a’ fatti miei.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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