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      La nazione potrà dispensarsi dal colpire per espressa legge l’avvenire del monachismo; tanto, almeno per le monache, i monasteri si scioglierebbero, a parer mio, per atto di spontanea disposizione, e ciò in un periodo di tempo non più lungo di qualche settimana.
     
      Prima di entrare in San Gregorio Armeno, ricorrendo la festività del Natale, mia madre mi aveva dato per confessore quello della zia Lucrezia. Era egli un vecchio rustico e brontolone, ma nel fondo un buon prete. Abituata ad accostarmi riverente e sommessa al confessore, riguardava in lui non l’uomo, ma piuttosto il ministro della divinità. Egli veniva a confessarmi ogni lunedì.
      Trovai i confessionali a modo di piccoli gabinetti, da ogni parte diligentemente riparati, e con entrovi uno sgabello per sedere comodamente.
      Domandai perché le monache si confessassero sedute, contro l’universa consuetudine: mi venne detto, che non essendo possibile di rimanere due o tre ore in ginocchio, usavano le penitenti genuflettersi soltanto nel momento dell’assoluzione.
      «Come!» esclamai maravigliata. «Vi occorrono due o tre ore per dire al confessore che non avete voluto né potuto commettere peccati in due o tre giorni di vita claustrale! Che mai dunque sarà della povera gente mondana, molto più di voi soggetta alla tentazione? Dovrebbero adunque gli agricoltori disertare i campi, gli operai chiuder la bottega e convertirla in confessionale, e spendervi una intera giornata ginocchioni?»
      «Ben sappiamo» mi risposero, «essere usanza presso la gente


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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