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      mondana di non fare che una confessione di pochi minuti; ma noi, non solo esterniamo i nostri piccoli peccati (non essendovene de’ mortali nel monastero), ma vogliamo inoltre che il confessore, persona fidata e di nostra elezione, ci diriga in tutte le operazioni del vivere. A lui confidiamo i pensieri, gli affari, i progetti nostri, essendo egli l’unico amico, l’unico sfogo, l’unico intermediario fra il cielo, il mondo e il chiostro, che ad una monaca lecito sia di possedere. Smembrate dalla famiglia, noi ritroviamo in lui l’amore paterno, la materna tenerezza, l’affetto de’ fratelli e delle sorelle, mentre dal mondo separate, nell’intimità che cordialmente a lui ci congiunge rinveniamo la personificazione dell’universo, in compenso della nostra solitudine. Insomma, dopo Iddio, il confessore è per noi il tutto... Tu pur fra breve, massimamente se t’induci a lasciare quel vecchio e demente confessore che ti fu dato, per isceglierne un altro più giovane, più atto a dirigere il tuo spirito, tu pure passerai deliziosamente un paio d’ore nel confessionale».
      «Qual trattenimento di cattivo gusto!» risposi io. «Preferirei un duetto di Rossini sul mio piano-forte!».
      Ed infatti io deplorava la fatalità che mi toglieva fra le altre cose l’uso diletto della musica, e mi poneva nel caso di perdere per dissuetudine l’agilità delle dita sulla tastiera.
      Una suora giovane, tarchiata, brunetta, dagli occhi vispi, dal riso pronto, tiratami in disparte:
      «Spero» mi disse, «che di quanto abbiamo discorso, e saremo per discorrere in seguito, non ne vorrai far cenno alla badessa tua zia».


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Iddio Rossini