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      me, e non a Maddalena, la contesa confessione.
      A completare la commedia, non ci mancava che l’autorità del papa.
      Non valsero né le mie proteste né il mio pianto. La zia mi sgridò, affermando che al vicario bisognava ubbidire senza replica.
      Salii piangendo nella mia stanza, ove scrissi una lunga lettera a mia madre, raccontandole tutto e rammentandole che, prossimo essendo a spirare il secondo mese, io desiderava di lasciare il convento al più presto possibile. Troppo lungo sarebbe il racconto delle mie sofferenze, per causa di questa ridicola gelosia. Ebbe termine soltanto la persecuzione, allorché Maddalena trovò un altro confessore, e dimenticò il primo.
      Avendo intitolato questo capitolo “Scene e costumi”, riunirò in esso tutto ciò che relativamente alle monache ed ai preti ho io stessa veduto nei quattro monasteri da me abitati, o che mi giunse all’orecchio di altri chiostri napoletani; come pure farò laddove discorrerò de’ tre voti d’umiltà, di castità e di povertà delle monache. Seguirò questo metodo d’esposizione, per non aver a ritornare più volte sullo stesso argomento, troncando il racconto.
      La frenetica passione delle monache pei preti e pei monaci supera ogni credere. Ciò che specialmente le rende affezionate al loro carcere si è l’illimitata libertà che godono di vedere e di scrivere alle persone amate. Questa libertà le localizza, le incorpora, le identifica al chiostro sì fortemente che son infelici allorché per causa di grave malattia, o prima di prendere il velo, debbono passare qualche mese in seno alla loro famiglia, accanto del padre, della madre, dei fratelli, non essendo presumibile che questi parenti permettano ad una giovinetta di passare più ore al giorno in misteriosi colloqui con un prete od un monaco, e di mantenere seco lui continua corrispondenza.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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