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      Io stessa ricevetti, da un monaco impertinente, lettera in cui mi significava, che non appena mi aveva veduta, concepita aveva la dolcissima speranza di divenir mio confessore. Un attillato vagheggino, un muschiato bellimbusto non avrebbe impiegato frasi più melodrammatiche, per domandare se nutrire o soffocar doveva la detta speranza.
      Un prete (che del resto godeva presso tutti una riputazione d’integerrimo sacerdote), ogni qual volta mi vedeva passare dal parlatorio, soleva farmi:
      «Ps, cara vien qua...! Ps, ps, vien qua!».
      La parola “cara” in bocca di un prete mi moveva non meno nausea, che raccapriccio.
      Un prete infine, il più fastidioso di tutti per l’ostinatissima sua assiduità, voleva esser amato da me ad ogni costo. Non ha immagini la poesia profana, non sofismi la rettorica, non scaltre interpretazioni la parola di Dio, ch’egli non abbia adoperate per convertirmi alle sue voglie. Darò un saggio succinto della sua dialettica:
      «Bella figliuola» mi disse un dì, «sai tu quello che veramente sia Iddio? »
      «È il Creatore dell’universo» risposi io seccamente.
      «No, no, no, no! non basta questo» riprese egli, ridendosi della mia ignoranza. «Dio è amore, ma amore astratto, che riceve la sua incarnazione nel mutuo affetto di due cuori che s’idolatrano. Tu, adunque, non puoi né devi amare Iddio nell’esistenza astratta: devi altresì amarlo nella sua incarnazione, ossia nell’esclusivo amore di un uomo che ti adori, quod Deus est amor nec colitur, nisi amando».
      «Dunque, nell’atto di adorare il proprio amante, la donna nubi-


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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