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      Se non che, ad un monaco, rispettabile per l’età e per la morale, avendo io domandato che mai significasse quel premettere il nome di Gesù Cristo alle amorose apostrofi, «È» mi disse, «una setta orrenda e sfortunatamente troppo estesa, la quale, abusando del nome di Cristo, si fa lecite le maggiori nefandità ».
     
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      IXIl campanello
     
     
     
     
      Il giorno 21 marzo, dedicato a san Benedetto, presi l’abito di educanda. Le monache non eransi sollecitate di vestirmi prima, per rispetto alla morte di mio padre, di cui io portava tuttavia il lutto.
      Semplice fu la cerimonia della vestizione. La tunica, riposta in una guantiera, fu recata in chiesa, e deposta sull’altare di san Benedetto. Ivi il noto canonico disse la messa, la benedisse, ed io l’indossai.
      Era di lana nera ordinaria, con maniche strette sino al polso, con un piccolo scapolare pendente dalle spalle, un grembiale di mussula bianca, ed al collo un fazzoletto della stessa stoffa. I capelli passavano sopra le orecchie, ed erano sostenuti da un pettine. Quest’acconciatura del capo e le pesanti scarpe, furono le cose che mi arrecarono maggior dispiacere e disagio.
      Finita la messa, il canonico salì al parlatorio per contemplarmi in quella nuova foggia, e me ne rivolse le sue congratulazioni.
      Ma gli argomenti del confessore non riuscivano a dissuadermi dal disegno di lasciare il convento, e le sue assiduità, ripetute tre o quattro volte la settimana, lungi dall’ispirarmi affetto per la vita monastica, non facevano che aggiungere fastidio alla mia naturale ripugnanza per quello stato.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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