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      Più d’una volta mi venne il pensiero di aprire il mio cuore al Generale, mio secondo padre, e chiedergli aiuto: ma la parola data mi chiudeva le labbra. Egli aveva già sborsato il danaro, del quale molta parte erasi presa; ora, volendo pur mancare all’impegno solenne, fermato colla zia e colle monache, poteva io più ritrattarmene, senza far trista figura davanti al benefattore?
      Non vi era alcuno scampo plausibile. Doveva assolutamente chiuder gli occhi, ed abbandonarmi alla discrezione della fatalità.
     
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      Spuntò il critico giorno. Una folla di parenti e d’amici affluì fin dal mattino nella sala di mio cognato: gli uomini discorrevano allegramente; le donne chiassavano, le zittelle si erano impadronite del piano-forte; io sola era mesta con in bocca l’amarezza dell’assenzio.
      A dieci ore fui chiamata all’allestimento. M’inghirlandarono di fiori gemmati, a guisa di sposa: mi fecero indossare un abito sontuoso di velo bianco, ed al capo mi attaccarono un altro velo dello stesso colore, scendente sino ai piedi.
      Quattro dame assistettero all’acconciatura, due altre dovevano accompagnarmi: la duchessa di Corigliano e la principessa di Castagnetto.
      Conformandosi alla consuetudine, queste dame cominciarono dal condurmi a diversi monasteri, onde farmi vedere dalle altre monache: le seguitai automaticamente, muta d’accento, col pensiero assente. Mi scossi solo, allorché seduta nella porteria del monastero di Santa Patrizia, accanto all’altra zia Benedettina, vidi entrare frettolosi ed anelanti due chierici, che gridarono:


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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