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      Passava molte ore nel coro data alla preghiera; la fede mi sorreggeva. Per infondere la fede a chi non l’ha, fatelo sventurato! Mi fu imposto l’incarico di ragunare le monache nel coro col suono del campanello: me ne disimpegnai sollecitamente. Il resto della giornata me lo passai o chiusa nel mio camerino, o nella stanza del noviziato, o nel conversare colla maestra delle novizie, che taciturna e paziente ascoltava la mia lettura.
      Quella buona donna, attempata di circa sessanta anni, concepì viva affezione per me. Chiamavasi Marianna; ma io la chiamava zia, come le giovani usano chiamar per rispetto le maggiori di età.
      Non so: era essa disgustata dei confessori, oppure non aveva avuto giammai trasporto per loro? E ben certo ch’essa biasimava gli scandali, e deplorava le laidezze che vi si facevano. Il suo modo di pensare simile al mio, e l’affezione che mi dimostrò, affezione supe-
     
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      riore a quella che la vera zia mi portava, fecero sì, che a lei mi legassi coi vincoli d’una filiale tenerezza.
      Era costume di quel monastero, che nei giorni di solennità, oppure negli onomastici della maestra o della novizia, regalasse la prima alla seconda qualche oggetto gradevole. Siccome l’amica mia era molto ricca, ed io mi trovava in ristrettezze, non percependo pensione alcuna prima di aver fornito la dote alla professione, così dessa mi faceva sempre questi doni in moneta, usando di grazia e di delicatezza impareggiabili.
      Né poteva soffrire che si dicesse sul conto mio la menoma parola in disvantaggio, diretta o indiretta che fosse.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Marianna