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      Era evidente il carattere d’un morbo infiammatorio, ma per altro esenti ne sembravano i visceri, come altresì gli organi principali del corpo.
     
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      Di lì a poco perdeva la favella, perloché non potendo più chiamarmi a viva voce m’invitava col gesto ad avvicinarmele. Allora con uno strido straziante mi indicava il suo petto, in cerca d’un soccorso che non mi era dato di interpretare.
      Più d’una volta, bramosa d’indovinare il desiderio di lei, mi provai d’allargare il nastrolino che alla gola dell’inferma teneva allacciata la camicia; ma una delle sue converse, colei che stava all’origliere di guardia perenne, scostandomi ognora la mano:
      «È larga abbastanza» mi diceva; «non te ne incaricare».
      Una fra le altre volte che l’inferma cercò smaniante di stracciarsi la camicia sul petto, parvemi di vedervi una fascia.
      «Che fascia è questa?» domandai alla conversa.
      «E abituata a portarla sempre» mi rispose facendosi rossa.
      «Ma le opprime forse la respirazione: sciogliamola».
      «No» soggiunse quella, respingendomi bruscamente la mano. «Brigatevi dei fatti vostri».
      La mirai con sguardo sospettoso, e supposi che qualche fine nascosto la faceva agir così, tanto più che dal seno della moribonda esalava un fetore insopportabile.
      Incapace di transigere coi sentimenti di umanità, volai tosto in traccia dell’infermiera, cui dissi far di mestieri avvertire il medico, che desse l’ordine di toglier quella fascia dal petto.
      L’ordine fu eseguito, malgrado le lagnanze della conversa e degli sguardi in cagnesco che a me lanciava; dal che risultò che un orribile cancro aveva ròsa metà del seno.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337