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      Il canonico dal canto suo mostravasi lieto nel vedermi più tranquilla di spirito; se non che, mentre io affermava non essere quella mia tranquillità che rassegnazione ad un fatto irrimediabile, egli ostinavasi a sostenere che fosse vera vocazione.
      Prossimo era frattanto a spirare l’anno del noviziato, e il giorno della professione si avvicinava. Mi abbisognavano a quest’uopo ducati 1800 per la dote, e settecento altri per le spese della funzione, dei quali, tanto nella prima che nella seconda cerimonia, 80 ne prendeva a titolo di dono il confessore, ed un’altra analoga porzione veniva riservata per complimento alle monache. Tutto insieme computato, 3000 scudi. Quanti milioni di dote al Divino ed umile maestro dei dodici pescatori!
      Era superiore alle forze della mia famiglia la detta somma. Sperai di nuovo in qualche favorevole eventualità; ma per non lasciarmi aperto neanche questo varco, il Capitolo condiscese a prendermi con minor dote, lo che mi recò sommo dispiacere, conoscendo fra le altre cose di quante e quali mortificazioni era abbeverata un’altra, perché fattasi monacare senza dote alcuna.
      Non andò guari che ne sperimentai le amare conseguenze.
      Una monaca, per nome Teresa e sorella della summenzionata Paolina, si mise in capo di farmi sloggiare dal gabinetto ch’erami stato ceduto dalle zie, col pretesto che alla dote mia non fosse analoga quell’abitazione. La signora Teresa, orgogliosa e prepotente anzi che no, credeva che il suo volere non dovesse incontrare ostacolo di sorta.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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