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      All’ora in cui si chiudono i cancelli messo fuor della porta, passa l’intera notte a lamentarsi; ma l’indomani, mosso il vicinato a pietà, gli reca del pane e delle carezze. Il cane rifiuta e quello e queste, né cessa di piangere. Pianse senza tregua per due giorni e due notti, mentre in alto l’educanda rimaneva non meno inconsolabile. Alfine, di quel dramma tediate le monache, deliberarono di troncarne il filo sollecitamente. Il povero cane ucciso, chi sa come, fu, al mattino del terzo dì, trovato morto... all’orlo del sepolcro vivo della sua padrona.
      Al tempo del debole governo di mia zia, una monaca volle congedare la sua conversa per prenderne un’altra che più le aggradiva. La conversa, che non poteva capacitarsi di ciò, si buttò più volte a’ piedi della padrona, ma la trovò inesorabile: ricorse al frate confessore di quella, ma pur senza profitto. Al penultimo giorno del servizio sparì; si cercò dappertutto, in ultimo si scese nella cantina: erasi rannicchiata sotto un ammasso di fascine. La padrona ordinò che la fosse tirata di là sotto, e a viva forza trascinata alla porteria. La poveretta, che urlava come matta, nel passare innanzi ad una cappella, gridò imprecando: «Signore, muoia chi ci ha colpa!». Per una curiosa combinazione, tre mesi dopo, il monaco cadeva in via dei Tribunali colpito da morte istantanea.
      Due converse servivano la medesima padrona: una era giovane, l’altra vecchia. La prima, piuttosto sguaiata e pazzarella, non potendo più lungamente tollerare le ammonizioni dell’attempata, concepì lo scellerato disegno di farla morire, condendole l’insalata coll’olio di verderame.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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