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      Nelle loro contese vengono sempre a discussione di chi è più nobile dell’altra:
      «Voi non avete avuto che un conte pezzente, ed anche quello cadetto di famiglia. La buon’anima di mio trisavolo, il tale, riuniva nel suo scudo tutti i titoli di feudatario; principe di *, duca di *, mar-
     
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      chese di *, conte di *, e di soprassello fu consigliere del Re Cattolico e grande di Spagna».
      «E vero questo, ma discendeva da razza bastarda: lo sanno anche i piccirilli».
      «E l’arma vostra quante e quante brutture non porta in fronte! ». Ve n’erano di quelle che, allorquando passar doveva una processione, reclamavano il primato in tutto, financo sui belvederi: al loro arrivo le altre dovevano cedere il posto incontinente; né esitavano di far alzare quelle che ascoltavano messa, se per caso avevano occupato un posto che loro aggradisse di più.
      Un predicatore severo e propenso al cinismo si prese l’ardire di riprendere le monache sul tenore di vita che menavano. Gli mandarono a dire che non dovesse trattare in quella guisa le figlie di principi, duchi, conti; baroni napoletani. Il Barnabita, giustamente indignato di quell’impertinente avvertimento, nel fare un giorno alla presenza di numeroso uditorio il panegirico di san Giuseppe, schiccherò bella e buona l’imbasciata che le umili serve del Signore gli avevano mandata.
      Vi sono infine taluni chiostri dove la superiora si fa baciare il ginocchio, ed altri ancora dove si fa baciare, a guisa di papa, la pantofola. In quanto all’ignoranza di coteste badesse, con quali colori la dipingerò? Un uomo del mondo stenta a farsi un’idea dell’ingenuità con cui ne menano vanto.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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